Il salottino per gli incontri è vezzosamente neoclassico. La scrivania, invece, è moderna, minimalchic e accessoriata di computer e palmari vari. Il sovrintendente e direttore artistico della Scala, Stéphane Lissner, ha arredato il suo ufficio come il teatro che vuole: tradizione e innovazione insieme.
Finora, nel suo doppio ruolo, il sovrintendente ha schiacciato il direttore artistico. Troppe e troppo complicate le emergenze da affrontare dal maggio 2005, quando, a sorpresa, la politica gli assegnò la missione impossibile di governare una Scala squassata dalla cacciata di Muti. Oggi che l’emergenza è finita, perché i conti sono in ordine, i sindacati tranquilli e le polemiche inevitabili ma non catastrofiche, Lissner si gode il trionfo della Salome di Strauss («Ci credevo molto, la reazione del pubblico mi ha fatto felice») e può finalmente ricominciare a parlare di musica e d’opera, che nei nostri teatri gloriosi ma turbolenti, per quanto paradossale possa sembrare, non sono sempre la priorità. Invece adesso si discute di progetti, e finalmente a lunga scadenza.
Lunga quanto, signor Lissner?
«Cinque anni. Eccolo qui, il prossimo quinquennio (ed estrae una cartelletta dall’aria importante, ndr). Fino al 2013, il bicentenario di Verdi e di Wagner. Di Verdi posso solo dire che arriveremo alle celebrazioni con quattro o cinque grandi opere in repertorio, a cominciare dal Don Carlo che inaugurerà la stagione 2008-2009, diretto da Daniele Gatti con la regia di Stéphane Braunschweig. Invece altri due progetti sono praticamente chiusi».
Uno alla volta, per carità.
«Iniziamo con le tre opere di Monteverdi. Faremo L’Orfeo nel 2009, Il ritorno d’Ulisse in patria nel ‘10 e L’incoronazione di Poppea nell’11: dirige Rinaldo Alessandrini, regia di Bob Wilson, con cantanti in carriera insieme ai giovani dell’Accademia della Scala. Voglio una compagnia che per tre anni viva con Monteverdi e senza star, dove magari chi fa Nerone nella Poppea possa farmi anche una piccola parte del Ritorno, e viceversa. Si debutterà in settembre, quando il teatro “grande” sarà in tournée. A cominciare da quella in Giappone del 2009, con il Don Carlo e l’Aida diretta da Barenboim».
L’altro?
«L’anello del Nibelungo, direttore Daniel Barenboim, regia di Klaus-Michael Grüber, scene di Anselm Kiefer. Due opere nel 2010: il Rheingold in giugno, Walküre il 7 dicembre. Due nel 2012: Sigfried in gennaio, Götterdämmerung a Sant’Ambrogio. A Pasqua del 2013 porteremo tutta la Tetralogia a Berlino, poi di nuovo alla Scala».
La compagnia?
«La migliore disponibile. Ben Heppner ha già il contratto in mano. Così nel 2013 avremo la trilogia popolare o altri grandi Verdi, il Ring e i Monteverdi».
E la prossima stagione?
«Più di 250 spettacoli fra opera, balletto e concerti. I titoli d’opera saranno dodici, di cui nove nuove produzioni (fra le quali Il giocatore di Prokof’ev diretto da Barenboim, la Tosca di Barenboim-Bondy, L’elisir d’amore) e tre riprese. E basta con gli abbonati di serie A e di serie B. Per tutti e sei i turni ci saranno, al 90 per cento, gli stessi cantanti».
Oltre alle voci, alla Scala tornano anche i direttori?
«Un paio di mesi fa qui lavoravano contemporaneamente Chailly, Barenboim, Boulez, Gatti e Chung. Se diventerà la regola, allora sarò soddisfatto. Potrò sembrare ambizioso, ma sto lavorando perché la Scala torni a essere il primo teatro del mondo. Qualche segnale importante c’è già».
Per esempio?
«Il fatto che Pierre Boulez inauguri la prossima stagione sinfonica. Aveva diretto l’ultimo concerto di Natale per fare un favore a me. Se torna, è perché è stato colpito dalla qualità dell’orchestra della Scala. E questo non è un riconoscimento per me, ma per il teatro».
Mancano solo Rattle e Abbado.
«Se c’è qualcuno che può convincere Rattle a venire alla Scala, beh, credo di essere io. Ma ho bisogno di tempo. Con Abbado ci sentiamo. Ma, per il momento, ha sempre detto di no».
Alla prima replica di «Salome» alcuni spettatori hanno rumorosamente contestato la stroncatura apparsa quel giorno sul «Corriere». Si sente compreso dal pubblico e incompreso dalla critica?
«Io rispetto assolutamente chi scrive bene o male a seconda di quel che pensa. Nel caso di un altro giornale, trovo un po’ strano aver ricevuto 18 stroncature su 18 spettacoli che ho presentato finora alla Scala. Sempre e solo delle schifezze? Scusatemi, ma non sono convinto».
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